Poeta italiano. Di antica e nobile famiglia, cercò presto protezione e
fortuna presso la potente famiglia de' Medici. Ripetuti dissesti finanziari lo
spinsero tuttavia a procurarsi lavoro da scrivano e contabile, fino a quando
ulteriori speculazioni bancarie ne decretarono il suo esilio da Firenze. Solo
nel 1466 poté farvi ritorno per intercessione di Lorenzo de' Medici, che
in seguito gli affidò delicate missioni diplomatiche, stimandolo persona
fidata. Nel 1473
P. passò al servizio di Roberto di Sanseverino,
pur rimanendo sempre legato per amicizia e riconoscenza al suo antico protettore
Lorenzo. Di questi sentimenti ne sono chiara testimonianza le
Lettere.
Tale personalità umanamente ricca e beffarda trovò piena
espressione nel
Morgante, poema iniziato nel 1461 su richiesta di
Lucrezia Tornabuoni, madre di Lorenzo il Magnifico. La prima redazione
dell'opera presentava 23 canti, mentre quella definitiva, risalente al 1483 e
nota come
Morgante Maggiore, ne comprese 28. L'opera nel suo insieme
rappresenta uno tra gli esemplari più significativi della poesia
fiorentina volgare del XV sec. Riprendendo la trama di un rozzo cantare
quattrocentesco, l'
Orlando laurenziano, che narra le gesta epiche di
Orlando paladino di Carlo Magno,
P. arricchisce i motivi della tradizione
letteraria con il suo estro comico e il suo audace ingegno stilistico. Orlando,
bandito dalla corte di Carlo Magno per i raggiri del traditore Gano di Maganza,
lascia la Francia ed erra in terre misteriose finché giunge a un convento
dove i monaci vivono terrorizzati per la presenza di tre giganti che li
sottopongono a continue vessazioni. Orlando uccide due dei tre giganti, e il
terzo, Morgante, convertitosi al Cristianesimo, gli si sottomette diventando suo
fedele scudiero. Il protagonista viene raggiunto dal cugino Rinaldo, anch'egli
paladino di Carlo Magno, sdegnato per le azioni dell'infido Gano, e i tre si
uniscono in mirabolanti imprese attraverso le terre sconosciute e misteriose
dell'Africa e dell'Asia. Quando i Saraceni minacciano i confini della Francia
essi, dimenticando ogni offesa, accorrono in aiuto di Carlo; Gano, dopo essere
riuscito a eliminare Orlando a Roncisvalle, viene finalmente smascherato e
ucciso. Se il punto di partenza può dirsi la tradizione, il risultato
è un poema assolutamente innovativo per la commistione di stili e
linguaggi diversi. Nel
Morgante le figure del vecchio mondo cavalleresco
che
P. rielabora e riscatta con la fantasia, diventano eccezionali
pretesti comici. Ne deriva un poema che rispecchia la cultura borghese del
tempo, viva e irriverente, intelligente e furbesca nel modo di amare e conoscere
la vita, spesso non rigidamente ortodossa nei confronti della religione, aperta
alle nuove suggestioni letterarie e alla lingua viva del volgo. I protagonisti
dell'opera sono individui scaltri e abili, furfanti, avventurieri senza scrupoli
che vivono alla giornata di espedienti e di rapine, cinici e sfrontati
delinquenti che sbaragliano i propri nemici con la forza e con l'arguzia,
vagabondi dalle maniere spicce e dal linguaggio spregiudicato. Questa
realtà così ricca e varia diventa il motivo centrale del poema, il
suo filo conduttore più evidente, con l'esilarante comicità delle
peripezie e delle avventure; ma non il solo, perché
P. espresse in
quest'opera anche le proprie opinioni filosofiche e religiose, tutte improntate
a grande tolleranza. Così accanto alla figura di Margutte, un mezzo
gigante che fa della sua vita un capolavoro di furfanteria e di ogni vizio
un'arte, e che muore scoppiando per il troppo ridere, vi è la presenza
del diavolo Astarotte che, saggio e cortese, discorre con intelligente
profondità di questioni scientifiche e teologiche, rivelando la presenza
di altri mondi oltre le colonne d'Ercole, e dichiarando che a Dio piace ogni
religione, purché osservata con sincerità e rispetto. Non mancano
inoltre nel poema gli idilli e le storie d'amore: abbondano i personaggi
femminili, le principesse innamorate e segregate in crudele prigionia e grazie a
loro il tono poetico si ingentilisce come per incanto, l'ispirazione si fa
tenera e commossa. Caratteristico del
Morgante è anzi questo
continuo mescolarsi di tonalità diverse e contrastanti, e qui sta la
grande capacità poetica di
P., la forza creativa dell'opera: dalla
fiaba leggiadra di Florinetta, dolcemente lirica, alle battaglie di Morgante e
Margutte, rozzamente popolaresche e argute, dalla caricatura di re Carlo alla
descrizione del mago Malagigi, dal burlesco all'epico tutto si fonde con rara
efficacia poetica ed espressiva. Il linguaggio risponde pienamente agli elementi
contenutistici: il petrarchismo delle storie d'amore convive accanto a formule
popolaresche e dialettali, vocaboli dotti si accostano a espressioni plebee. A
ragione quindi
P. può scrivere che nella sua opera “materia
c'è da camera e da piazza”, sia negli aspetti contenutistici sia in
quelli formali, e infatti il poema piacque sia al popolo sia alla società
colta della Firenze medicea. Per questa sua straordinaria capacità di
fusione di elementi diversi e opposti, di stili e linguaggi eterogenei, per la
sua viva intelligenza che riesce a rendere ogni episodio, ogni fatto nel
contempo ironico e commosso, verace e incredibile, grottesco e austero,
P. è considerato una delle voci più interessanti della
corrente dei rimatori realistici burleschi. Tra le altre opere di
P. si
ricordano: il poemetto rustico in 23 ottave
Beca da Dicomano, scritto
prima del 1470, parodia della
Nencia da Barberino di Lorenzo il
Magnifico; la
Giostra di Lorenzo, composta intorno al 1470
, che
celebra la vittoria del Magnifico nella giostra d'armi del febbraio 1469,
svoltasi nella piazza di Santa Croce; le due
Frottole (
Le galee per
Quaracchi e
Io vo' dire una frottola, 1480), parodie della frivolezza
femminile e della vita cortigiana; altri sonetti polemici e satirici che, pur
essendo di gran lunga inferiori al
Morgante, contribuiscono a illuminare
la figura e l'opera complessiva del poeta (Firenze 1432 - Padova 1484).